Cofete. Che tempo caro mi fui. Il tempo andrebbe vissuto e non volato.
In un posto dove il tempo è fermo, tu cammini sinuosa. Regina di un passato qui et ora. Canticchi distante una melodia. In una lingua dolce che pare già una poesia.
È poca la luce dentro il bar. Le piastrelle a terra ricordano quelle della nonna. Di fronte una vecchia macchina da cucire con accanto una radio di quella coi bottoni.
C’è una strana sensazione di vita vera qui dentro.
Pensare che all’inizio ho temuto che quel posto potesse essere poco e stretto per cotanta bellezza di fanciulla.
E invece quando mi parli del vento di luglio. Ed è novembre. Mi pare che quella parentesi per te sia di vita e non di sfuggita come la mia.
Tu vedrai il cielo tramontare stasera e dormirai con le luci della notte. Per tornare a splendere all’alba. Senza troppo superfluo.
Io no. Io vivo di lampadine e sveglie rumorose.
In un posto dove il tempo è fermo, tu cammini sinuosa. Regina di un passato qui et ora. Canticchi distante una melodia. In una lingua dolce che pare già una poesia.
Mi prendo del tempo, mentre bevo il tuo caffè. Non me ne voglio andare. Non ancora. Non sono pronta. A lasciarti qua. E Guardo la tv che racconta una ricetta. Ma in realtà mi trattengo da questa sensazione di vita che mi ha preso alla sprovvista e che mi sta a cuore. ora.
Esco ma ti porto con me e ti scrivo e ti canto. Decanto. Incanto. Incantata.
Là fuori c’e poco vento. Le montagne nere. Il cielo blu. Onde e sabbia a perdita d’occhio fanno blu azzurro e bianco sull’oro e verde. Quanto sole. Quanto tempo.
Andiamo.
Sulla strada del ritorno non ci sono protezioni. E fa paura quel burrone sempre lí che ci guarda. E che fa così ricordare quanto è cara e scivolosa questa vita.
E ora respiro piano per non scordarmi quell’immagine di tempo che per oggi mi hai preso il cuore e mi hai ricordato che sono siamo solo un susseguirsi di battiti. Battito.
Vola.